Fruizione dello spazio

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L'adattamento di una postazione comporta il cambiamento delle condizioni e  delle modalità di lavoro, in modo tale che lo stesso possa essere svolto efficacemente  e proficuamente da una persona disabile.

Gli adattamenti vanno dall'eliminazione delle barriere fisiche all’adattamento di spazi, modifiche del mobilio, miglioramenti  relativamente all'illuminazione , incorporazione di tastiere Braille, posizionamento dei segni in lettere grandi, mappe tattili, informazioni sul posto di lavoro e sulla sicurezza accessibili a tutti  e molto altro ancora, fino alla  flessibilità dei turni.

L'adattamento del posto di lavoro viene svolto secondo i criteri dell'ergonomia, cioè l'adattare l'ambiente di lavoro alle caratteristiche delle persone tenendo conto delle loro capacità e limitazioni. In tutti i casi è il lavoro che deve essere adattato a una persona e non viceversa, garantendo che l'attività richiesta non sia maggiore delle capacità dell'individuo e che non possa in alcun modo peggiorare la salute del lavoratore.

L’ adattamento della postazione è riservato a:

  • Iavoratori con disabilità o invalidità permanente
  • lavoratori con ridotta capacità che, per incidente o malattia, hanno subito una diminuzione della loro capacità di eseguire il lavoro che svolgevano in precedenza
  • Iavoratori con disabilità sopraggiunta a posteriori. In questo gruppo si possono anche includere le lavoratrici gestanti, quelle che ricominciano a lavorare dopo il parto o quelle che sono in allattamento
  • lavoratori che, pur non essendo riconosciuti disabili, sono sensibili a determinati rischi presenti sul posto di lavoro (allergie, disturbi sensoriali, ecc.)

 

immagine stilizzata barriere architettonicheAdattamento e fruibilità l’ambiente lavorativo

L’adeguamento alle norme sulle barriere architettoniche è obbligatorio ai sensi del Decreto Legislativo 81/08. La norma antidiscriminatoria obbliga i datori di lavoro e le Pubbliche Amministrazioni ad adottare e a farsi onere dei costi relativi ai provvedimenti che accomodano le esigenze dei disabili e promuovono l’uguaglianza tra i lavoratori, tali modifiche possono essere evitate solo nel caso in cui  richiedano da parte dell’azienda o dell’Amministrazione un onere finanziario sproporzionato.

Tuttavia, si possono richiedere degli sgravi sui costi per l’adattamento del posto di lavoro. Il Fondo regionale può infatti erogare:

  • contributi agli enti che svolgono attività rivolte al sostegno e all’integrazione lavorativa delle persone disabili:
  • contributi per l’adozione di accomodamenti ragionevoli in favore dei lavoratori con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%, incluso l’apprestamento di tecnologie di telelavoro o la rimozione delle barriere architettoniche e per l’istituzione del responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda le agevolazioni per l’assunzione stessa dei lavoratori disabili, oltre al rimborso totale o parziale per l’adattamento del posto di lavoro se si assumono disabili con riduzione al 50% delle proprie capacità lavorative, si prevedono inoltre i seguenti sgravi:

  • per l’assunzione di invalidi civili con invalidità superiore al 79%, o per i disabili psichici c’è una fiscalizzazione totale per un massimo di 8 anni dei contributi assicurativi e previdenziali;
  • per l’assunzione di disabili con riduzione delle capacità lavorative compresa tra il 67% e il 79%, c’è una fiscalizzazione sino a 5 anni dei contributi assicurativi e previdenziali.

 

Accessibilità sostenibile e fruizione  dello spazio: la Convenzione ONU

Con la legge 12 marzo 1999, n.68  le persone con diverse abilità vedono finalmente riconosciuto il loro valore nei luoghi di lavoro, passando da una visione ispirata all'idea dell'inserimento degli invalidi nelle imprese come un "peso" da sopportare in chiave solidaristica (legge 2 aprile 1968, n.482) ad un sistema diretto, invece, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse.

Nasce così il tema dell’accessibilità, dell’abbattimento delle barriere architettoniche, della postazione di lavoro personalizzata e dell’orario di lavoro flessibile, volto ad ottimizzare e a rendere utile il lavoro del personale inserito dalle categorie protette.

Un altro obiettivo che va a delinearsi è quello di far percepire come non sia la patologia in sè (non modificabile ne eliminabile) a creare difficoltà sul luogo di lavoro, bensì l’ambiente lavoro che si manifesta ostile e talvolta impraticabile: si sente, quindi, come necessaria un‘ulteriore modifica legislativa, volta da un lato a rendere fruibili le aree lavorative al personale disabile, dall’altro ad assicurare al datore di lavoro che il dipendente non sia solo un onere economico, ma anche una fonte di produzione e che le modifiche volte all’inserimento degli stessi siano sostenibili e ragionevoli. 

Con la legge 3 marzo 2009 n.18, l’Italia ratifica e dà esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con la quale “l’accomodamento ragionevole indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali” (art.2). La Convenzione specifica che “le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri” (art.1 c.2).

La discriminazione sulla base della disabilità - secondo la definizione che ne viene fornita dall’articolo 2 - “include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole”. Dunque, l’eventuale rifiuto di accomodamento ragionevole da parte del datore di lavoro costituisce discriminazione.

La Cassazione sottolinea inoltre che “la Corte di Giustizia europea […] ha rilevato che l’art.5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che la riduzione dell’orario di lavoro può costituire uno dei provvedimenti di adattamento di cui a tale articolo, competendo al giudice nazionale valutare se la riduzione dell’orario di lavoro rappresenti un onere sproporzionato per il datore di lavoro".

 

    Last update: 06/02/2023